giovedì 29 maggio 2008

Giunone in t-shirt



La vicenda di Juno inizia in modo del tutto simile a quella di 4 mesi 3 settimane 2 giorni: una giovane ragazza si trova alle prese con una gravidanza indesiderata. Ma qui finiscono le analogie. Juno è infatti tutt'altro che un film drammatico. Questo però non significa, cari detrattori della commedia, che non riesca nell'intento di raccontare un storia "seria", anche se con leggerezza.
Certo Juno non è la commedia perfetta, ed il suo finale concede troppo all'happy ending a stelle e strisce.
Eppure questo film ha qualche cosa di speciale: sarà la colonna sonora che definire di culto è poca cosa; sarà il personaggio di Juno, con le sue battute taglienti, che passa al rullo compressore il perbenismo di maniera della borghesia americana. O forse sarà perchè ci fa rivivere la magia dell'adolescenza e delle sue totalizzanti passioni che ancora rimangono latenti nel nostro cuore.


mercoledì 28 maggio 2008

La guerra tra poverissimi


Scossi dalle violenze xenofobe che hanno causato più di quaranta morti, molti cittadini sudafricani hanno manifestato per le strade di Johannesburg.
Sui cartelli slogan contro il razzismo, ma anche critiche ai vertici istituzionali - primo fra tutti il presidente Mbeki - per non aver saputo prevenire e reprimere le aggressioni agli stranieri. Solo ieri, dopo due settimane di scontri, è stato mobilitato l'esercito.
Le violenze, iniziate a Johannesburg, si sono poi allargate anche attorno a Durban. Nel mirino i molti immigrati provenienti dai paesi vicini, accusati dai locali di impoverire ulteriormente la regione, a sua volta in preda a una grave crisi economica.
Numerose persone sono state arrestate a Città del Capo, dove le prime manifestazioni di protesta si sono rapidamente trasformate in guerriglia urbana.
Secondo fonti della Croce Rossa Internazionale l'ondata di violenza ha causato almeno 25.000 senzatetto. La maggior parte di loro vive suddivisa in 21 tendopoli vicino a Johannesburg.
Secondo il direttore dei servizi di informazione sudafricani, a fomentare le rivolte ci sarebbero personaggi legati agli apparati del vecchio regime dell'apartheid.
Queste le news allucinanti che arrivano in questi giorni dal sud africa, e devo dire che non si sa nemmeno come reagire di fronte alle incredibili immagini di violenza che sono state trasmesse: di certo ci assale una sensazione mista di rabbia e sgomento che rischia di essere mitigata dalla sciocca certezza che “da noi” queste cose non succederanno mai.Anzi in questi anni, nel mio piccolo impegno politico quotidiano (fatto soprattutto nei contesti di socialità come il luogo di lavoro o il bar di paese), ho potuto notare l'accanimento crescente contro i soggetti più deboli da parte della “gente comune”anche di sinistra.In questa logica (illogica?) nemmeno io operaio mi concentro sulla possibilità di invertire i meccanismi che portano ad impoverire i poveri e ad arricchire i ricchi, piuttosto individuo nel “diverso”tutte le cause dei miei problemi e perciò tendo ad escluderlo ed emarginarlo.Potremmo tentare di scaricare la responsabilità di questo degrado sulla drammatica condizione culturale del paese, dove si sceglie il trash in tv piuttosto che un buon libro, si preferisce il qualunquismo all'impegno, si pensa ad arricchirci piuttosto che ad eliminare la povertà.Ma in che misura questi comportamenti sono indotti dai media o da una mancata formazione?Non è possibile invece che la maggioranza delle persone scelga coscientemente di avere un nemico più facile da sconfiggere? Le ultime elezioni in italia sono indicative: vince la lega xenofoba ai danni della sinistra. I poteri forti (confindustria, banche, vaticano, le varie caste) sono difficili da combattere, intanto potremmo levare di mezzo gli immigrati che ci rubano il lavoro (?) e sono la causa della nostra insicurezza.Analogamente i disgraziati sudafricani non sfogano la loro furia su coloro che non redistribuiscono le immense ricchezze di quel paese; è più facile in questa logica di egoismo cosmico bruciare viva quella moltitudine di persone che cercano accoglienza e riscatto. Con tutto ciò vorrei esprimere profonda preoccupazione per il futuro del nostro paese e fare un appello a tutti coloro che ragionano con la propria testa: NON FACCIAMOCI ABBINDOLARE DAI MEDIA DROGATI, IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA SI RISOLVE SOLO PONENDO FINE AI PROBLEMI DELLA GIUSTIZIA

Ryuvez

sabato 24 maggio 2008

La rivincita di Blisset



Il calcio si sa, l'è malado... tuttavia rimane uno dei sport più belli al mondo, almeno finchè la fantasia dell'uomo riesca a produrre qualcosa di meglio del “Curling”.

Il suo cancro è sicuramente il denaro che come un liquido viscoso lo avvolge e lo corrompe fino ad arrivare alle squadre giovanili di periferia dove genitori dal quoziente intellettivo pari a zero pompano i propri figli con sogni di gloria, di fama, di successo, di serate con tre trans di due tiri con Moggi; tutti imbellettati, col fisico, sempre col capello apposto e guai a chi me lo tocca...perfetti per diventare come quell' imbecille di Cristiano Ronaldo, bravo a fare due o tre finte ma una merda di giocatore e di persona .Uno capace di giocare male nelle partite più importanti, quelle dove bisogna tirar fuori le palle , e di sbagliare nel modo più ridicolo ed autoumiliante un rigore nella lotteria della finale di champions league ( poi si sa che da lassù si fa occhiolino agli stronzi e la coppa l'hanno vinta lo stesso).

Ma ci sono milioni di esempi che riabilitano l'ambiente del pallone come l'under18 del Pistrino , modesta squadra di seconda categoria: Suddetta under ha condotto un campionato così e così tra mille difficoltà, ma il gruppo c'è, anche se non è certo un gruppo di campioni. Tra i migliori Sebi, (che a volte ricorda il miglior “tritu”), il sindaco , Cristian (che potrebbe anche farla un'uscita alta),e Maicol (la classica torta senza la ciliegina ). Ma a maggio c'è un altra occasione per dare il massimo e riscattarsi : il torneo di S.Sepolcro .

Girone a tre , perchè una squadra si ritira, e le altre sono tiberis e Madonna del latte . Giochiamo in maniera perfetta contro tutte e due le avversarie , peccato che lo facciamo per soli 20 minuti, quindi il massimo che otteniamo è il secondo posto nel girone, che ci catapulta contro la corazzata Bamboccio Bruni, 9 su undici hanno già giocato in eccellenza. Ma abbiamo il piglio giusto, forse merito di quel matto del marty, (il mister), e poi c'è la rivelazione di fine stagione Luther Blisset, un esempio per tutti in quanto ad attitudine mentale concentrazione ed impegno (mai detta una parola , sempre guardata la palla) che quelli dell' Anghiari li conosce bene e ci può dare qualche dritta. Dopo un assedio durato 80 minuti i toscani non sono riusciti ancora a superare lo stoico Cristian che si frattura addirittura una spalla contro il palo pur di salvare il risultato. Noi non abbiamo ancora tirato in porta e siamo esausti. In tribuna una signora tifosa loro (che poi si rivelerà madre del pur bravo Bartolini) urla in lamarino stretto : “ohhhh staltra volta 'nciarvengooooo!” .. “Enciarvenì !!!” gli rispondo io.. e non ho ancora finito di mandarla in culo quando succede l'impensabile.. Blisset azzarda un anticipo a metà campo, non si sa come la prende ma la prende, e poi mette tutte le sue forze in quello che vorrebbe che fosse l'ultimo rilancio della serata , perchè non ce la fa proprio più. La palla si alza incomprensibilmente fino a superare i riflettori , sono tutti attoniti ma il più attonito di tutti è il portiere avversario che va in confusione e inciampa e non può far altro che osservare la palla che va in fondo al sacco a due all'ora.( Se stava a Subbiano era meglio).

Anche se il finale è un po' così, la prestazione di tutta la squadra resta . Complimenti ragazzi!!!!

PS: Quasi mi scordavo il lillo vera mascotte della squadra e guida spirituale dentro e fuori dal campo .Che ne dici lillo il Marty sarà bravo con i grandi come con i giovani?


Ryuvez,dedicato a Maradona, Che Guevara e Fidel Castro.


venerdì 23 maggio 2008

Straordinari, una misura che conviene di più alle imprese


Fonte: La Repubblica del 22/05/08

di Carlo Clericetti

Se doveva essere il modo di rimediare al problema dei bassi salari, avrà probabilmente un'efficacia paragonabile a quella di un'aspirina per curare il cancro. E' davvero difficile pensare che il provvedimento sulla detassazione degli straordinari possa segnare una svolta dal punto di vista del reddito dei lavoratori.

Intanto, le risorse messe in campo sono decisamente modeste. Il governo ha dichiarato che il pacchetto salari-Ici avrà un costo di 2,6 miliardi. Ora, siccome l'abolizione dell'Ici sulla prima casa costa 2,2 miliardi, per i salari rimangono 400 milioni (il ministro Sacconi ha detto un miliardo, ma "spalmato su due anni"). Si era parlato, infatti, di un costo complessivo di 4 miliardi, che avrebbe comportato una disponibilità quattro volte e mezza più alta, ma, dovendo coprire il costo con tagli di spesa, per non peggiorare la situazione dei conti pubblici, evidentemente non si è riusciti a trovare i fondi sufficienti, e infatti il limite di reddito per fruire della detassazione è stato ridotto all'ultimo momento da 35 a 30.000 euro.

D'altra parte, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti deve essersi reso conto che trovare la copertura togliendo soldi dal cosiddetto “decreto milleproroghe” era una mission impossible: in quel decreto ci sono sì spese di tipo pre-elettorale, ma è robetta. Il grosso è su capitoli praticamente intoccabili, come il finanziamento del protocollo sul welfare, i soldi ai Comuni per le accise sul gasolio, i fondi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Così, la portata del provvedimento si è drasticamente ridotta.



Si sarebbe tentati di osservare che non tutti i mali vengono per nuocere. Sull'efficacia di quella misura per raggiungere gli scopi dichiarati si possono avanzare molte e pesanti riserve. Quelle più generali le ha ricordate Massimo Giannini nel suo commento: il basso limite di reddito esclude una parte importante dei lavoratori; il regime fiscale più favorevole spingerà datori di lavoro e dipendenti a trasferire il più possibile di retribuzione alla parte agevolata del salario, generando un' elusione fiscale a spese della collettività; l'obiettivo di favorire l'aumento della produttività è contraddetto dalla limitazione del beneficio a solo una parte dei dipendenti e a più bassa qualifica. Si può aggiungere che si crea una disparità fra i lavoratori (la contrattazione integrativa riguarda solo il 10% delle aziende; fa gli straordinari solo il 45% dei dipendenti, e più gli uomini che le donne; gli statali sono esclusi); che è una misura cosiddetta “pro-ciclica”, cioè che funziona quamdo l'economia va bene e si sgonfia se è fiacca, perché in questo caso non servono certo gli straordinari; che può favorire la produttività pro-capite, ma non ha alcun effetto sulla produttività oraria, che è il problema dell'Italia; che fa aumentare il rischio degli incidenti sul lavoro; che non favorisce l'aumento dell'occupazione.

Ma allora, se ha tutti questi difetti, perché è stato deciso? E perché la Confindustria l'ha accolto in maniera così entusiastica?

Il fatto è che, dal punto di vista delle imprese, ha invece un pregio importante: non solo aumenta ulteriormente la flessibilità nell'impiego della manodopera, ma, soprattutto, ne riduce il costo. Forse non tutti lo sanno, ma un'ora di straordinario costa molto meno di un'ora di lavoro normale, e rende anche meno al lavoratore. Un interessante conteggio lo ha fatto il sindacalista Aldo Amoretti in un articolo sulla rivista on line Eguaglianza & Libertà. Prendendo ad esempio un “quarto livello” del commercio (addetto alle vendite), la retribuzione netta di un'ora di straordinario è di 5,60 euro, quella di un'ora ordinaria di 9,48; il costo per l'azienda è invece rispettivamente di 11,64 e 16,15 euro. Ciò vuol dire che su ognuna di quelle ore l'azienda risparmia il 28%, mentre il lavoratore prende il 41% in meno. Si può ben capire quale sarebbe il vantaggio per le imprese se si riuscisse ad ampliare il ricorso agli straordinari invece di dover fare nuove assunzioni.

Ma un'ulteriore riduzione del costo del lavoro può risolvere il problema della competitività italiana? Sarebbe davvero difficile sostenerlo. Già oggi il nostro costo del lavoro è agli ultimi posti in Europa (dati Ocse) e, come è ben noto, questo non ci ha aiutato ad essere competitivi. Ma una prova “al contrario” si può avere osservando la Germania, che ha il costo del lavoro forse più alto del mondo (e sindacati fortissimi, e rigidità contrattuali che non hanno nulla da invidiare all'Italia) eppure è anche il primo esportatore del mondo, e oggi è anche tornata ad essere la locomotiva della crescita europea. Il problema, dunque, non è lì. Sarà bene cercarlo meglio.

lunedì 12 maggio 2008

Così l’Occidente produce la fame nel mondo



di Luciano Gallino

Fonte: la Repubblica del 10/05/2008

Tempo fa l'allora presidente della Banca Mondiale, James Wolfensohn, ebbe a dire che quando la metà del mondo guarda in tv l´altra metà che muore di fame, la civiltà è giunta alla fine. Ai nostri giorni la crisi alimentare che attanaglia decine di Paesi potrebbe far salire il totale delle persone che muoiono di fame a oltre un miliardo. La battuta citata è così diventata ancor più realistica. Con una precisazione: la nostra metà del mondo non si limita a guardare quel che succede. Si adopera per produrre materialmente lo scenario reale che poi la tv le presenta.
Sebbene varie cause contingenti – i mutamenti climatici, la speculazione, cinesi e indiani che mangiano più carne, i milioni di ettari destinati non all´alimentazione bensì agli agrocarburanti, ecc. – l´abbiano in qualche misura aggravata, la fame nel mondo di oggi non è affatto un ciclo recessivo del circuito produzione alimentare-mercati-consumo. Si può anzi dire che per oltre due decenni sia stata precisamente la fame a venir prodotta con criteri industriali dalle politiche americane ed europee. L´intervento decisivo, energicamente avviato sin dagli anni 80, è consistito nel distruggere nei Paesi emergenti i sistemi agricoli regionali. Ricchi di biodiversità, partecipi degli ecosistemi locali, facilmente adattabili alle variazioni del clima, i sistemi agricoli regionali avrebbero potuto nutrire meglio, sul posto, un numero molto più elevato di persone. Si sarebbe dovuto svilupparli con interventi mirati ad aumentare la produttività delle coltivazioni locali con una scelta di tecnologie meccaniche ed organiche appropriate alle loro secolari caratteristiche. Invece i sistemi agricoli regionali sono stati cancellati in modo sistematico dalla faccia della terra.
Dall´India all´America Latina, dall´Africa all´Indonesia e alle Filippine, milioni di ettari sono stati trasferiti in pochi anni dalle colture intensive tradizionali, praticate da piccole aziende contadine, a colture estensive gestite dalle grandi corporation delle granaglie. La produttività per ettaro è aumentata di decine di volte, ma in larga misura i suoi benefici sono andati alle megacorporation del settore, le varie Monsanto (oltre un miliardo di dollari di profitti nel 2007), Cargill (idem), General Mills, Archer Daniel Midland, Syngenta, l´unica non americana del gruppo. Da parte loro i contadini, espulsi dai campi, vanno a gonfiare gli sterminati slum urbani del pianeta. Oppure si uccidono perché non riescono più a pagare i debiti in cui sono incorsi nel disperato tentativo di competere sul mercato con i prezzi imposti – alle sementi, ai fertilizzanti, alle macchine – dalle corporation dell´agro-business. Nella sola India, tra il 1995 e il 2006, vi sono stati almeno duecentomila suicidi di piccoli coltivatori.
È noto che il braccio operativo dello smantellamento dei sistemi agricoli regionali sono stati la Banca Mondiale, con i suoi finanziamenti per qualsiasi opera – diga, autostrada, oleodotto, zona economica speciale, ecc. – servisse a tale scopo; il Fondo monetario internazionale, con l´imposizione degli aggiustamenti strutturali dei bilanci pubblici (leggasi privatizzazione forzata di terra, acqua, aziende di servizio) quale condizione di onerosi prestiti; l´Organizzazione mondiale per il commercio. Non ultima, soprattutto per quanto riguarda l´Africa, viene la Commissione Europea, la cui Politica agricola comune ha contribuito a spezzare le reni a milioni di contadini africani facendo in modo, a suon di sussidi e jugulatori contratti bilaterali, che i prodotti della Baviera o del Poitou costino meno, in molte zone dell´Africa, dei prodotti locali. Il tutto con la fervida adesione dei governi nazionali, che preferiscono avere buoni rapporti con le multinazionali che non provvedere al sostentamento delle popolazioni rurali.
Braccio ideologico della stessa operazione sono stati le migliaia di economisti che in parte operano alle dipendenze di tali organizzazioni, in parte costruiscono per uso e legittimazione delle medesime, nelle università e nelle business school, infinite variazioni sul principio del vantaggio comparato. In origine (1817!) tale principio sosteneva una cosa di paterno buon senso: se gli inglesi son più bravi a tessere lane che non a fabbricare porto, e i portoghesi fan meglio il porto che non i tessuti di lana, converrà ad ambedue acquistare dall´altro Paese il prodotto che quello fa meglio. Ma l´onesto agente di cambio David Ricardo sarebbe sbalordito al vedere che esso, reincarnato in complessi modelli econometrici digitalizzati, viene impiegato oggi nel tentativo di dimostrare che al contadino senegalese, o indiano, o filippino, conviene coltivare un´unica specie di vegetale per il mercato mondiale, piuttosto che coltivare le dozzine di specie di granaglie e frutti che soddisferebbero i bisogni della comunità locale.
Una volta sostituito a migliaia di sistemi agricoli regionali in varia misura autosufficienti un megasistema agrario globale che si dava per certo esser capace di autoregolarsi, il resto è seguito per vie naturali. Le grandi società dell´agrindustria accaparrano e dosano i flussi delle principali derrate in modo da tenerne alti i prezzi. Fondi pensione e fondi comuni investono massicciamente in titoli derivati del settore alimentare, praticando e incentivando la speculazione al rialzo. Cosa che non avrebbero motivo di fare se la maggior parte delle aziende agricole del mondo fossero ancora di piccole o medie dimensioni. Da parte loro, illusi dall´idea d´un mercato globale delle derrate autoregolantesi, i governi dei Paesi sviluppati hanno lasciato cadere a livelli drammaticamente bassi la quantità delle scorte strategiche: meno di 10-12 settimane per il grano, in luogo di almeno 24.
Il prezzo del sistema agricolo globale lo pagano i poveri. Compresi quelli che si preoccupano perché anche il prezzo delle tortine di argilla, la terra che mangiano per placare i morsi della fame quando il mais o il riso sono diventati inaccessibili, è aumentato troppo: succede ad Haiti. La crisi alimentare in atto non è infatti dovuta alla scarsità di cibo; esso non è mai stato, nel mondo, altrettanto abbondante. È un problema di accesso al cibo, in altre parole di povertà, di cui il sistema agricolo globale ha immensamente elevato la soglia.
Se un gruppo di tecnici avesse costruito un qualsiasi manufatto meccanico o elettronico tanto rozzo, perverso nei suoi effetti, costoso e vulnerabile quanto il sistema agricolo globale costruito da Usa e Ue negli ultimi vent´anni, verrebbe licenziato su due piedi. I funzionari delle organizzazioni internazionali che l´hanno costruito, gli economisti che hanno fornito i disegni di base, e i politici che ne hanno posto le basi con leggi e trattati, non corrono ovviamente alcun rischio del genere.
Al singolo individuo di questa parte del mondo resta da decidere che fare. Può spegnere la tv, per non doversi sorbire ancora una volta, giusto all´ora di pranzo, il tedioso spettacolo di bimbi scheletrici che frugano nell´immondizia. Oppure può decidere di investire una quota dei suoi risparmi in azioni dell´agrindustria, come consigliano sul web dozzine di società di consulenza finanziaria. Un investimento promettente, assicurano, perché i prezzi degli alimentari continueranno a crescere per lungo tempo. Infine può scrivere al proprio deputato in Parlamento chiedendogli di adoperarsi per far costruire attorno alla penisola, Alpi comprese, un muro alto dodici metri per tener fuori gli affamati. Se qualcuno conosce altre soluzioni che la politica, al momento, sia capace di offrire, per favore lo faccia sapere.