giovedì 30 ottobre 2008
mercoledì 29 ottobre 2008
Non è un paese per giovani
lunedì 27 ottobre 2008
caoscazzo
avendo letto il libro di Veronesi non si può che rimanere delusi di fronte all'omonimo film di antonello grimaldi per questo quello e quest alto motivo :
-------------questo: i films non riescono quasi mai a rendere tutte le impressioni dei libri da cui sono tratti.
--------------quello: moretti come mai riesce a fare l'attore (lui che non lo è) in un film del genere? dai retta torna dietro la macchina da presa e rifatti qualche canna.
--------------quest altro: incredibilmente ridicola la scena in cui palladini/moretti piange.. non avevo mai sentito un pianto così brutto, senza considerare che nel libro non vi è alcun pianto ed è stato solo per un capriccio del nostro amico che ha voluto stravolgere il copione che abbiamo assistito a questa forzatura .(Ma certe cose non le dovrebbe scegliere il regista?) Comunque a parte moretti VOTO 7
P.S.: dillo nanni che fai l'attore perchè sennò col cazzo che ti fai una chiavata così con la ferrari
sabato 25 ottobre 2008
Noi non siamo gli alice 'n chainz...
... ma sulle loro note abbiamo avuto la posibilità di incontrarci e di dar luce al fenomeno the rooster , gruppo precario nella galassia del rock pistrinese.si accettano suggerimenti per peggiorare la nostra immagine , anche sul nome dell'ipotetico gruppo.
ryuvez .............voce(?)
fabio ..............(ha un contratto a termine) chitarra
cacchio ............ bass
manuel (the rooster). drum
Gli incassi di eventuali ed improbabili esibizioni in pubblico saranno devoluti alle farc
sabato 18 ottobre 2008
ELOGIO DELLA FOLLIA
giovedì 16 ottobre 2008
Radiohead, cavatappi della modernità
Ecco l'articolo:
Non è un caso che ormai non si scrivano solo libri sui Radiohead, ma attorno ai Radiohead. Nessuno, negli ultimi vent'anni, ha creato un radicato e duraturo senso di appartenenza musicale come la band di Thom Yorke. Nemmeno gli U2, ormai stanchi delle loro molte rivoluzioni e adagiatisi, dopo Achtung Baby, in una stucchevole reiterazione di se stessi. Se i Pink Floyd si sono limitati a perlustrare la faccia oscura della Luna in un disco, i Radiohead nell'oscurità ci vivono. La cercano, la inseguono, la ricreano. Ne traggono ispirazione, perennemente in bilico tra estasi del nichilismo e compiacimento di chi ha previsto l'Apocalisse.
I loro primi passi erano fortemente derivativi, vicini all'epica irlandese degli U2 più ispirati, e fu così - «i nuovi U2» - che vennero chiamati dopo The Bends (1995), sorta di lunga e struggente fiaba che non manca mai nelle classifiche dei «migliori dischi del XX secolo». La storia della musica, come del resto quella dell'arte, è spesso fatta di cordoni ombelicali recisi, di capacità o meno di uccidere i propri padri, e se solo adesso Chris Martin dei Coldplay sembra averne abbastanza di somigliare a Bono, i Radiohead non si sono ancora stancati di mutare, scardinare: rivoluzionare. A The Bends fecero seguire l'epocale Ok Computer, dove i migliori Pink Floyd convivevano miracolosamente con i Beatles meno spensierati. Una delle molte pentecosti armoniche dela band, un po' come se i loro volti per nulla divistici, ora increspati e ora impiegatizi, celassero una superband capace di far convivere Syd Barrett e John Lennon, Johnny Cash e Bob Dylan, David Byrne e Miles Davis.
Ai peana universali, 11 anni fa, i Radiohead hanno reagito nella maniera più difficile e necessaria: spostandosi ancora, navigando controvento. Nei dischi successivi, dalla doppietta Kid A/Amnesiac a In Rainbows, hanno tratto ispirazione da tutto ciò che era possibile e soprattutto impossibile: le onde accademiche martenot, il sistema binario, l'elettronica esoterica, la musica popolare, persino le malattie dei conigli (la mixomatosi). Hanno scritto di mostri che succhiano il sangue giovane, messo in musica Douglas Adams, fatto cantare il fisico Stephen Hawking. Si sono spinti in terre inesplorate, edificando il loro habitat in un fascinoso nowhere. Il rischio era la musica per pochi intimi, del culto snobistico della nicchia. Sono riusciti a tracciare la strada più desiderata e per questo impervia: la perfetta via di mezzo tra l'alternativismo di professione e la legittima volontà di piacere. Per questo hanno generato una sorta di discreta ma evidente «febbre Beatles»: perché non hanno mai tradito prima se stessi, poi chi li ascoltava.
Nati 22 anni fa alla Abingdon School di Oxford, avevano la stessa formazione di adesso e si chiamavano On a Friday. Cambiarono nome per volere della Emi e perché misuratamente colpiti da una canzone dei Talking Heads. Il loro primo successo, un singolo del 1992, non era che l'autoscatto di Thom Yorke, occhio alla zuava e voce ipnotica. Il brano si chiamava Creep ed era la prima volta in cui Yorke, Leopardi del rock, palesava i suoi incubi («Sono un perdente, un mostro»). Da allora è stata una cascata di note, visioni, paure. Yorke è una sorta di alieno depresso, un artista postumo di se stesso, la cui voce ancestrale e a tratti insostenibile si sposa sontuosamente con sonorità avveniristiche figlie anzitutto di Jonny Greenwood (il chitarrista). A differenza di Jim Morrison o Kurt Cobain, Yorke sembra volersi punire con una esistenza complicata e oltremodo faticosa, a fronte di una evaporazione di sé che a prima vista sembrerebbe più facilmente percorribile. Non per nulla uno dei suoi canti più dolenti si intitola How to disappear completely.
I Radiohead sono una sintesi di talento e sperimentazione, istinto, longevità e scaltrezza (anche di marketing, basta pensare al download libero con cui è stato lanciato In rainbows). Non i nuovi Pink Floyd, non i nuovi U2: i nuovi Radiohead. Un loro disco non è un ascolto ma un evento. Qualcosa con cui suggellare il tempo, misurarsi, scontrarsi. Se la musica, come ha scritto Cechov, deve essere cavatappi dell'anima, nessuna band negli ultimi anni è in grado di aprire così tante bottiglie.
di Andrea Scanzi
mercoledì 15 ottobre 2008
BRUCIARE DOPO AVER LETTO
E ridere mentre e dopo avere guardato!...Burn after reading non è sicuramente all'altezza di Non è un paese per vecchi ma si sa non tutte le opere possono essere dei capolavori e, soprattutto è molto più difficile che lo diventino delle commedie (genere che non è sicuramente tra i miei preferiti!), a parte quella che guida i nostri scazzi ......
I fratelli Coen sono infatti dichiaratamente impeccabili anche in questo genere e regalano un'ora e mezzo di sane risate intelligenti (anche a me e non è cosa da poco!) Sempre la solita storia, o meglio la solita commedia degli equivoci nel genere “a prova di spia” ma interpretata dalla cinepresa dei due fratelli e condita con i loro ingredienti inconfondibili: vari e, a volte strampalati, tipi umani alle prese con il caso e il kaos della vita in un ritmo che non prevede pause.. E la loro cinica ironia delle circostanze , non risparmia nemmeno l'intelligence americana, vista in un tono di critica... forse alle ancora fobie post 11 settembre nell'attuale clima" torna di moda anche la guerra fredda"?..non a caso e , in antitesi, quella russa resta abbastanza immune (e i personaggi siberiani non scatenano nessuna risata).
Quasi mi dimenticavo: perfetto nelle varie parti il cast in cui eccelle l'interpretazione di Brad Pitt, Johm Malkovich e Frances McDormand! Chi dopo averlo visto potrà dire il contrario?
lunedì 13 ottobre 2008
Fate la vostra scelta
La provocazione della chiusura del Blog sembra aver avuto il suo effetto! Mai come in questo ultimo periodo abbiamo letto così tanti post. Ora dobbiamo crescere. Cerchiamo di coinvoglere più gente nella lettura, ma soprattutto nella scrittura dei post. Il blog è aperto a tutti, e tutti vi possono partecipare.
sabato 11 ottobre 2008
CARRARMATO ROCK
NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI 80 REPLICA
giovedì 9 ottobre 2008
Non si esce vivi dagli anni '80?
venerdì 3 ottobre 2008
SEM MISSI MALE
giovedì 2 ottobre 2008
Voi non siete gli "Alice in chains"
Chissà se il povero Layne si rivolterà nella tomba, o più coerentemente con la propria indole ignorerà lo scempio che stanno per combinare i suoi amici(?) compagni di avventure con il suo mitico gruppo : gli Alice in chains.
Dico suo perchè nonostante il collega Jerry Cantrell fosse autore delle loro musiche e di molti tra i loro drammatici testi, contribuendo non poco a creare delle atmosfere buie e rabbiose difficilmente riscontabili in tutto il panorama del rock, l'elemento caratterizzante è sicuramente la voce irripetibile di Layne. Metallica , fredda , bollente e soprattutto potente e potrei trovare mille altri aggettivi altrettanto inutili...(ascoltare per credere).
Fatta la precisazione torniamo allo scempio: layne stanley era un tipo coerente, e dopo aver cantato della propria morte da giovane s'è impegnato per realizzarla.Con mio grande rammarico un bel giorno c'è riuscito, trovando attorno a se proprio quel vuoto che credeva di avere(hanno trovato il cadavere dopo molto tempo, e nel classico stato avanzato di decomposizione), abbandonato a se stesso , lui che si era abbandonato già da molto tempo.
Io non l'ho mai dimenticato e mai lo farò, se c'è mistero accetto e rispetto, cosa che non fanno gli altri componenti del gruppo, i quali hanno pensato bene di uscire a marzo con un nuovo album sotto il sacro nome di " Alice in chains ".Sbagliato.
Voi non siete gli Alice in chains. Non senza Layne.
Spero non guadagnerete un dollaro con questa operazione criminale, del resto nelle altre uscite fatte dopo la sua morte non ci siete andati lontani.
Se volete produrre materiale fatelo, ma per carità, cambiate nome !
P.S.: Guardatevi l'unplugged qualche sera...
mercoledì 1 ottobre 2008
I bolscevichi di wall street
Per anni ci sono state raccontate delle balle fenomenali. Ci dicevano che dovevamo preparaci a vivere in un mondo globalizzato, dove il libero mercato sarebbe stato il vero ed unico protagonista al centro della scena. Un libero mercato che doveva penetrare ovunque, "modernizzando" qualsiasi settore, welfare compreso. E così si sono succedute un'infinità di liberalizzazioni: banche, assicurazioni, telecomunicazioni, elettricità, acqua, metano e prezzi di beni che prima erano imposti dallo stato, come pane e benzina. E anche il mercato del lavoro doveva adeguarsi ai tempi con una flessibilità sempre maggiore. Tutta questa "libertà" doveva garantire a noi cittadini, anzi a noi consumatori, dei prezzi sempre più concorrenziali ed una maggiore efficienza.
Sappiamo tutti come sono andate a finire le cose... bollette, mutui, tariffe, disservizi ed inefficienza parlano da sole.
Ciò è accaduto perché c'è stata raccontata una bugia originaria di dimensioni colossali: il libero mercato non ha bisogno dello stato, che è anzi un intralcio, ma si regola da solo.
Ora verrebbe da chiedersi il motivo per cui la crisi finanziaria che sta travolgendo i mercati di tutto il mondo, divorando importantissime banche di dimensioni planetarie, che sono il non plus-ultra del liberismo, dell'economia globalizzata, non venga affrontata con le stesse semplici regole del liberismo: lasciare fare al mercato. Anzi di fronte a questa crisi, dagli esiti ancora non prevedibili, gli stati e le banche centrali stanno attuando dei comportamenti che sono l'esatto contrario del liberismo: la nazionalizzazione. Ovvero gli stati, per non far fallire le banche, le comprano, le statalizzano, scaricando di conseguenza i debiti di queste sui contribuenti.
Ve lo immaginate: gli alfieri del libero mercato non trovano di meglio che agire come un grigio burocrate brezneviano. Il tanto vituperato stato si prende la sua rivincita ma a che prezzo? Molto caro per noi, come al solito. Ma almeno si abbia la decenza di dire al mondo la verità. Perché il re è nudo, ed il libero mercato globale è fallito.