mercoledì 31 dicembre 2008
MAMMA LI.........MUSI GIALLI!!!!!!
sabato 27 dicembre 2008
Ubuntu Gnu Linux
Il primo consiglio che posso dare è quello di provare alcuni software open su piattaforma windows: firefox (l'alternativa a internet explorer), thunderbird (l'alternativa a outlook) ed open office (l'alternativa al pacchetto office microsoft) ad esempio. Personalmente utilizzo questi programmi anche in ambito professionale con estrema soddisfazione da alcuni anni.
Utilizzo ubuntu (a casa) da ormai più di un anno, riuscendo a fare le stesse identiche cose che facevo con windows. Sicuramente linux richiede un po' più di impegno, ma allo stesso tempo offre degli innegabili vantaggi:
1) Virus? Chi?
2) Sistema operativo e software sempre aggiornati, senza la necessità di comprare o crackare.
3) il computer dura di più, perché le risorse hardware che richiede sono minori.
Il mio consiglio è quello di mantenere l'installazione di windows, All'avvio della macchina sarà possibile scegliere il sistema operativo da utilizzare. Torneranno utilissime le guide ed il supporto offerto dalla vastissima comunità di ubuntu, con spiegazioni passo passo in italiano per riuscire a risolvere i problemi, dai più banali, per configurare il pc in maniera corretta.
Ultima e forse più importante considerazione è quella che riguarda la morale: Ubuntu è libero e gratuito e tutti possono contribuire al suo sviluppo e modificarlo a proprio piacimento.
v
giovedì 25 dicembre 2008
Saudade
Sono ormai passati 10 anni, e anche per una persona schiva come te, abituata a sparire dalla scene per anni interi, sarebbe veramente ora di rifarsi vivo. In questo desolante panorama musicale e culturale manca una figura importante come la tua ad indicare una strada diversa, ad illuminare gli angoli oscuri di questo mondo.
Intendimi, non sono di quelli che ti ritenevano un profeta. Per me eri solo un cantante, anzi uno chansonnier, le cui canzoni molte volte si avvicinavano alla poesia, e che avevano lo sguardo rivolto dove i più non vogliono guardare. Canzoni che mi accompagnano da quando facevo le elementari...
Hai lasciato un'eredità pesante, che nessuno è riuscito neanche ad avvicinare, se non in qualche breve sprazzo. Ma purtroppo non tornerai mai più, e non ci sarà probabilmente mai nessun'altro come te.
Mi manchi.
martedì 23 dicembre 2008
domenica 21 dicembre 2008
AUGURI
martedì 16 dicembre 2008
Una nenia ci seppellirà
Era il 1963. Johnny Cash aveva solo 31 anni, ma la sua discografia contava già 16 album. Il diciassettesimo coincise con The Christmas Spirit. Brani natalizi. Fu un buco nell’acqua. Quarantacinque anni dopo, una cantante italiana tornata in auge grazie a un brano trasversalmente sopravvalutato (Bruci la città), incide un disco analogo: Canzoni per Natale.
Di superfluo non manca nulla: Happy XMas, Oh Happy Days. C’è un duetto con Alessandro Gassman, un vibrante j’accuse sul consumismo («Non so perchè/ questo lusso di cartone/ se razzismo guerra e fame/ ancora uccidono le persone»), la cover di Silent Night. Manca solo l’alberello di Natale allegato al cd (peccato). Nato “da un attacco di voglia di leggerezza”, il disco dovrebbe tra le altre cose trasudare “quella ventata di speranza che è arrivata su tutti noi con la vittoria di Obama”. Uhm.
In condizioni artistiche normali, un disco così sarebbe passato inosservato. Giusto un divertissement. Il tentativo, non si sa quanto imprescindibile, di importare anche in Italia quella tradizione musicale natalizia radicata negli Stati Uniti, da Johnny Cash ad Aretha Franklin. La prova che si può fare bella musica quando meno te l’aspetti, come Lisa Hannigan nella sua versione (quella sì) irrinunciabile di Silent Night nascosta in O di Damien Rice.
Capita però che Canzoni per Natale abbia esordito come disco più scaricato su I-Tunes e stazioni tra i più venduti. Chi lo compra, chi ne è fruitore? Babbo Natale? Le renne? Il pastore del presepe? Le madri italiche, così amorevoli da regalare alla prole cotanto surplus di note diabetiche? Qualcosa, questa leadership, vorrà dire. Forse che in tempi di crisi, e disimpegno ostentato, basta una ninnananna natalizia a dare lenimento. O forse che la musica italiana, e la discografia, sono così alla canna del gas da nascondersi dietro un disco da Zecchino d’oro fuori tempo massimo. Un tempo i big uscivano d’autunno, adesso il vuoto pneumatico della musica italiana non conosce pause.
La penuria quantitativa è acclarata, i pochi che vendono (Jovanotti, Capossela) raccattano tutto il raccattabile con limited edition e vinili da collezione, sperando che qualche feticista sia sopravvissuto alla glaciazione di eMule. E’ però anche un vuoto artistico, qualitativo. Persino le ultime opere di due big veri, Paolo Conte e Ivano Fossati, sono passate quasi inosservate. Anna Tatangelo, sepolta sotto la consueta sindone di fard e coppale, porta avanti la tradizione melodica, che ormai piace solo a Fabrizio Del Noce e Gigi D’Alessio. E Zucchero, un altro dei pochi a vendere, pubblica un pleonastico Live In Italy: peccato che la data scelta non sia stata Cala di Volpe.
Giusy Ferreri, con le sue adenoidi bulimiche, canta che “a novembre la città si spense in un istante”, non sapendo che a essersi spenta è l’ispirazione. Lo sanno forse i Negrita, evaporati anzitempo in una nuvola rossa (parafrasando il mai troppo compianto De André) di narcisismo e note facili. Lo sa (ma finge di non saperlo) Franco Battiato, che tra una deificazione di Fabio Fazio e l’altra continua a sfornare cover seriali di squisita bruttezza.
Si dice che l’artista ricorra alla cover quando di suo non ha più molto da dire, vedi anche alla voce Mango: se è vero, nessuno è più recidivo del guru etneo. Ha appena esalato il terzo capitolo dei suoi Fleurs, anche se l’ultimo tassello è intitolato “2”, uscito dopo il “3” tanto per dare all’operazione un surplus di superficialità geniale.
Chi si salva? Vinicio Capossela, struggente nel suo Da solo. Qualche cane sciolto (Vasco Brondi). Il resto è tifo: chi tiene Ligabue, chi Vasco, chi Ferro. Chi Mannoia, in tutti i sensi.
E’ un gelido dicembre del nostro scontento, scaldato dai fuochi fatui di una Irene Grandi in salsa post-Cristina D’Avena. Grandi dischi si scorgono all’orizzonte. Roberto Vecchioni ricanterà Barbapapà in chiave acid jazz. Laura Pausini inciderà un concept album heavy metal col Piccolo Coro dell’Antoniano. E Memo Remigi rileggerà gli Inti Illimani. Comunque vada, sarà un successo
di Andrea Scanzi
lunedì 15 dicembre 2008
WAR AGAINST POWER
giovedì 11 dicembre 2008
FUORI CONTROLLO
mercoledì 10 dicembre 2008
Paranoid Park
E' stato un peccato non aver visto Paranoid Park al cinema. Sia la magnifica colonna sonora, sia la fotografia, che le tecniche di ripresa e montaggio lo meritavano. Ho comunque ovviato alla mancanza del maxi schermo panoramico e del mega impianto da svariati migliaia di euro con il mio personalissimo "home theatre" nel salotto di casa, in compagnia del camino acceso che illuminava tenuemente la stanza in un tedioso pomeriggio autunnale.
Non vorrei però ora annoiarvi io con una sorta di recensione, peraltro dilettantesca, del film, rivelandovi un po' di trama, commentando la deriva morale che Gus Van Sant individua nel mondo adolescenziale (come del resto aveva già ben descritto in Elephant), e descivendo gli spettacolari effetti di rallenty in alcune scene.
Mi limiterò a raccontare i titoli di testa (giusto per non rovinarvi il resto, nel caso non aveste già visto il film). Un ponte in ferro, di stile neo gotico, sullo sfondo una città, il paesaggio è tipicamente autunnale. Le automobili che si muovono velocemente sul ponte, e le ombre che variano come se il tempo scorresse ad altissima velocità. La musica in sottofondo: avete mai visto Giulietta degli spiriti di Fellini? Paranoid Park inizia con la stessa identica melodia di Nino Rota. Non vi basta per incuriosirvi?
giovedì 27 novembre 2008
domenica 23 novembre 2008
mercoledì 19 novembre 2008
DECRESCITA SERENA (non è il nome di una!)
Rivalutare, Ristrutturare, Ridistribuire, Riconcettualizzare, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare. Un'utopia.
TITOLO 'Breve trattato sulla decrescita serena' di Serge Latouche.
UN MOSTRO DAL PASSATO
giovedì 13 novembre 2008
lunedì 10 novembre 2008
Carne Argentina
Ma è triste vedere che nella stragrande maggioranza delle persone questi fatti non suscitino un unanime e riprovevole sdegno. Anzi molti pensano che la reazione delle forze dell'ordine sia stata giusta in relazione agli eventi, dimostrando ancora una volta lo stato degradato in cui versa la cosiddetta pubblica opinione nel nostro paese, che non vuole o non può (anche grazie ai mezzi di disinformazione) cercare la verità.
Vi lascio il link di un articolo che vi invito a leggere per non dimenticare quella notte in cui la democrazia ed il diritto non ci sono stati.
venerdì 7 novembre 2008
Arte: Tecnica o Creatività?
martedì 4 novembre 2008
change happenz
sappiamo bene che chiunque vinca le elezioni americane non potra fare nulla per invertire la drammatica logica del sistema capitalistico per eccellenza.. semplicemente perche non gli passa neanche per l anticamera del cervello.Caro elettore americano dacci un taglio ! vota LOBO !
RAGE AGAINST THE MACHINE
domenica 2 novembre 2008
OTTOBRE GROSSO
sabato 1 novembre 2008
Altre 2 canzoni, please!
giovedì 30 ottobre 2008
mercoledì 29 ottobre 2008
Non è un paese per giovani
lunedì 27 ottobre 2008
caoscazzo
avendo letto il libro di Veronesi non si può che rimanere delusi di fronte all'omonimo film di antonello grimaldi per questo quello e quest alto motivo :
-------------questo: i films non riescono quasi mai a rendere tutte le impressioni dei libri da cui sono tratti.
--------------quello: moretti come mai riesce a fare l'attore (lui che non lo è) in un film del genere? dai retta torna dietro la macchina da presa e rifatti qualche canna.
--------------quest altro: incredibilmente ridicola la scena in cui palladini/moretti piange.. non avevo mai sentito un pianto così brutto, senza considerare che nel libro non vi è alcun pianto ed è stato solo per un capriccio del nostro amico che ha voluto stravolgere il copione che abbiamo assistito a questa forzatura .(Ma certe cose non le dovrebbe scegliere il regista?) Comunque a parte moretti VOTO 7
P.S.: dillo nanni che fai l'attore perchè sennò col cazzo che ti fai una chiavata così con la ferrari
sabato 25 ottobre 2008
Noi non siamo gli alice 'n chainz...
... ma sulle loro note abbiamo avuto la posibilità di incontrarci e di dar luce al fenomeno the rooster , gruppo precario nella galassia del rock pistrinese.si accettano suggerimenti per peggiorare la nostra immagine , anche sul nome dell'ipotetico gruppo.
ryuvez .............voce(?)
fabio ..............(ha un contratto a termine) chitarra
cacchio ............ bass
manuel (the rooster). drum
Gli incassi di eventuali ed improbabili esibizioni in pubblico saranno devoluti alle farc
sabato 18 ottobre 2008
ELOGIO DELLA FOLLIA
giovedì 16 ottobre 2008
Radiohead, cavatappi della modernità
Ecco l'articolo:
Non è un caso che ormai non si scrivano solo libri sui Radiohead, ma attorno ai Radiohead. Nessuno, negli ultimi vent'anni, ha creato un radicato e duraturo senso di appartenenza musicale come la band di Thom Yorke. Nemmeno gli U2, ormai stanchi delle loro molte rivoluzioni e adagiatisi, dopo Achtung Baby, in una stucchevole reiterazione di se stessi. Se i Pink Floyd si sono limitati a perlustrare la faccia oscura della Luna in un disco, i Radiohead nell'oscurità ci vivono. La cercano, la inseguono, la ricreano. Ne traggono ispirazione, perennemente in bilico tra estasi del nichilismo e compiacimento di chi ha previsto l'Apocalisse.
I loro primi passi erano fortemente derivativi, vicini all'epica irlandese degli U2 più ispirati, e fu così - «i nuovi U2» - che vennero chiamati dopo The Bends (1995), sorta di lunga e struggente fiaba che non manca mai nelle classifiche dei «migliori dischi del XX secolo». La storia della musica, come del resto quella dell'arte, è spesso fatta di cordoni ombelicali recisi, di capacità o meno di uccidere i propri padri, e se solo adesso Chris Martin dei Coldplay sembra averne abbastanza di somigliare a Bono, i Radiohead non si sono ancora stancati di mutare, scardinare: rivoluzionare. A The Bends fecero seguire l'epocale Ok Computer, dove i migliori Pink Floyd convivevano miracolosamente con i Beatles meno spensierati. Una delle molte pentecosti armoniche dela band, un po' come se i loro volti per nulla divistici, ora increspati e ora impiegatizi, celassero una superband capace di far convivere Syd Barrett e John Lennon, Johnny Cash e Bob Dylan, David Byrne e Miles Davis.
Ai peana universali, 11 anni fa, i Radiohead hanno reagito nella maniera più difficile e necessaria: spostandosi ancora, navigando controvento. Nei dischi successivi, dalla doppietta Kid A/Amnesiac a In Rainbows, hanno tratto ispirazione da tutto ciò che era possibile e soprattutto impossibile: le onde accademiche martenot, il sistema binario, l'elettronica esoterica, la musica popolare, persino le malattie dei conigli (la mixomatosi). Hanno scritto di mostri che succhiano il sangue giovane, messo in musica Douglas Adams, fatto cantare il fisico Stephen Hawking. Si sono spinti in terre inesplorate, edificando il loro habitat in un fascinoso nowhere. Il rischio era la musica per pochi intimi, del culto snobistico della nicchia. Sono riusciti a tracciare la strada più desiderata e per questo impervia: la perfetta via di mezzo tra l'alternativismo di professione e la legittima volontà di piacere. Per questo hanno generato una sorta di discreta ma evidente «febbre Beatles»: perché non hanno mai tradito prima se stessi, poi chi li ascoltava.
Nati 22 anni fa alla Abingdon School di Oxford, avevano la stessa formazione di adesso e si chiamavano On a Friday. Cambiarono nome per volere della Emi e perché misuratamente colpiti da una canzone dei Talking Heads. Il loro primo successo, un singolo del 1992, non era che l'autoscatto di Thom Yorke, occhio alla zuava e voce ipnotica. Il brano si chiamava Creep ed era la prima volta in cui Yorke, Leopardi del rock, palesava i suoi incubi («Sono un perdente, un mostro»). Da allora è stata una cascata di note, visioni, paure. Yorke è una sorta di alieno depresso, un artista postumo di se stesso, la cui voce ancestrale e a tratti insostenibile si sposa sontuosamente con sonorità avveniristiche figlie anzitutto di Jonny Greenwood (il chitarrista). A differenza di Jim Morrison o Kurt Cobain, Yorke sembra volersi punire con una esistenza complicata e oltremodo faticosa, a fronte di una evaporazione di sé che a prima vista sembrerebbe più facilmente percorribile. Non per nulla uno dei suoi canti più dolenti si intitola How to disappear completely.
I Radiohead sono una sintesi di talento e sperimentazione, istinto, longevità e scaltrezza (anche di marketing, basta pensare al download libero con cui è stato lanciato In rainbows). Non i nuovi Pink Floyd, non i nuovi U2: i nuovi Radiohead. Un loro disco non è un ascolto ma un evento. Qualcosa con cui suggellare il tempo, misurarsi, scontrarsi. Se la musica, come ha scritto Cechov, deve essere cavatappi dell'anima, nessuna band negli ultimi anni è in grado di aprire così tante bottiglie.
di Andrea Scanzi
mercoledì 15 ottobre 2008
BRUCIARE DOPO AVER LETTO
E ridere mentre e dopo avere guardato!...Burn after reading non è sicuramente all'altezza di Non è un paese per vecchi ma si sa non tutte le opere possono essere dei capolavori e, soprattutto è molto più difficile che lo diventino delle commedie (genere che non è sicuramente tra i miei preferiti!), a parte quella che guida i nostri scazzi ......
I fratelli Coen sono infatti dichiaratamente impeccabili anche in questo genere e regalano un'ora e mezzo di sane risate intelligenti (anche a me e non è cosa da poco!) Sempre la solita storia, o meglio la solita commedia degli equivoci nel genere “a prova di spia” ma interpretata dalla cinepresa dei due fratelli e condita con i loro ingredienti inconfondibili: vari e, a volte strampalati, tipi umani alle prese con il caso e il kaos della vita in un ritmo che non prevede pause.. E la loro cinica ironia delle circostanze , non risparmia nemmeno l'intelligence americana, vista in un tono di critica... forse alle ancora fobie post 11 settembre nell'attuale clima" torna di moda anche la guerra fredda"?..non a caso e , in antitesi, quella russa resta abbastanza immune (e i personaggi siberiani non scatenano nessuna risata).
Quasi mi dimenticavo: perfetto nelle varie parti il cast in cui eccelle l'interpretazione di Brad Pitt, Johm Malkovich e Frances McDormand! Chi dopo averlo visto potrà dire il contrario?
lunedì 13 ottobre 2008
Fate la vostra scelta
La provocazione della chiusura del Blog sembra aver avuto il suo effetto! Mai come in questo ultimo periodo abbiamo letto così tanti post. Ora dobbiamo crescere. Cerchiamo di coinvoglere più gente nella lettura, ma soprattutto nella scrittura dei post. Il blog è aperto a tutti, e tutti vi possono partecipare.
sabato 11 ottobre 2008
CARRARMATO ROCK
NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI 80 REPLICA
giovedì 9 ottobre 2008
Non si esce vivi dagli anni '80?
venerdì 3 ottobre 2008
SEM MISSI MALE
giovedì 2 ottobre 2008
Voi non siete gli "Alice in chains"
Chissà se il povero Layne si rivolterà nella tomba, o più coerentemente con la propria indole ignorerà lo scempio che stanno per combinare i suoi amici(?) compagni di avventure con il suo mitico gruppo : gli Alice in chains.
Dico suo perchè nonostante il collega Jerry Cantrell fosse autore delle loro musiche e di molti tra i loro drammatici testi, contribuendo non poco a creare delle atmosfere buie e rabbiose difficilmente riscontabili in tutto il panorama del rock, l'elemento caratterizzante è sicuramente la voce irripetibile di Layne. Metallica , fredda , bollente e soprattutto potente e potrei trovare mille altri aggettivi altrettanto inutili...(ascoltare per credere).
Fatta la precisazione torniamo allo scempio: layne stanley era un tipo coerente, e dopo aver cantato della propria morte da giovane s'è impegnato per realizzarla.Con mio grande rammarico un bel giorno c'è riuscito, trovando attorno a se proprio quel vuoto che credeva di avere(hanno trovato il cadavere dopo molto tempo, e nel classico stato avanzato di decomposizione), abbandonato a se stesso , lui che si era abbandonato già da molto tempo.
Io non l'ho mai dimenticato e mai lo farò, se c'è mistero accetto e rispetto, cosa che non fanno gli altri componenti del gruppo, i quali hanno pensato bene di uscire a marzo con un nuovo album sotto il sacro nome di " Alice in chains ".Sbagliato.
Voi non siete gli Alice in chains. Non senza Layne.
Spero non guadagnerete un dollaro con questa operazione criminale, del resto nelle altre uscite fatte dopo la sua morte non ci siete andati lontani.
Se volete produrre materiale fatelo, ma per carità, cambiate nome !
P.S.: Guardatevi l'unplugged qualche sera...
mercoledì 1 ottobre 2008
I bolscevichi di wall street
Per anni ci sono state raccontate delle balle fenomenali. Ci dicevano che dovevamo preparaci a vivere in un mondo globalizzato, dove il libero mercato sarebbe stato il vero ed unico protagonista al centro della scena. Un libero mercato che doveva penetrare ovunque, "modernizzando" qualsiasi settore, welfare compreso. E così si sono succedute un'infinità di liberalizzazioni: banche, assicurazioni, telecomunicazioni, elettricità, acqua, metano e prezzi di beni che prima erano imposti dallo stato, come pane e benzina. E anche il mercato del lavoro doveva adeguarsi ai tempi con una flessibilità sempre maggiore. Tutta questa "libertà" doveva garantire a noi cittadini, anzi a noi consumatori, dei prezzi sempre più concorrenziali ed una maggiore efficienza.
Sappiamo tutti come sono andate a finire le cose... bollette, mutui, tariffe, disservizi ed inefficienza parlano da sole.
Ciò è accaduto perché c'è stata raccontata una bugia originaria di dimensioni colossali: il libero mercato non ha bisogno dello stato, che è anzi un intralcio, ma si regola da solo.
Ora verrebbe da chiedersi il motivo per cui la crisi finanziaria che sta travolgendo i mercati di tutto il mondo, divorando importantissime banche di dimensioni planetarie, che sono il non plus-ultra del liberismo, dell'economia globalizzata, non venga affrontata con le stesse semplici regole del liberismo: lasciare fare al mercato. Anzi di fronte a questa crisi, dagli esiti ancora non prevedibili, gli stati e le banche centrali stanno attuando dei comportamenti che sono l'esatto contrario del liberismo: la nazionalizzazione. Ovvero gli stati, per non far fallire le banche, le comprano, le statalizzano, scaricando di conseguenza i debiti di queste sui contribuenti.
Ve lo immaginate: gli alfieri del libero mercato non trovano di meglio che agire come un grigio burocrate brezneviano. Il tanto vituperato stato si prende la sua rivincita ma a che prezzo? Molto caro per noi, come al solito. Ma almeno si abbia la decenza di dire al mondo la verità. Perché il re è nudo, ed il libero mercato globale è fallito.
venerdì 26 settembre 2008
"Ehi ascoltami, sono io nello stereo..."
La peculiarità dei Pavement è quella di poter essere stati potenzialmente un gruppo mainstream, capace di sfornare molte canzoni di sicuro successo commerciale, sfruttando l'onda lunga del grunge. Invece Malkmus, il leader e cantante, è riuscito a stravolgere questa caratteristica, imprimendo alla musica del gruppo una sonorità pressochè unica. Le canzoni dei Pavement sono deviate, stonate, sghembe, stralunate, scazzate. E' come se, facendo un paragone cinematografico, Gondry avesse girato Animal House.
Canzoni come Stereo , Shady Lane o Embassy Row sono delle perle dell'indie anni '90, che invito tutti a riascoltare, detrattori compresi, dopo 11 anni di stagionatura. Per apprezzare che, come per il vino buono, l'invecchiamento ne esalta lo spessore.
giovedì 25 settembre 2008
IL 242 COME RONZINANTE (parte 1)
NUOVO?!?
PORE LE MI ORECCHIE
lunedì 22 settembre 2008
La Forza maggiore del Caos
mercoledì 17 settembre 2008
sabato 9 agosto 2008
arvedecce a settembre
venerdì 1 agosto 2008
SOLO 2 PAROLE
Pierpa
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più.
mercoledì 16 luglio 2008
CHE ZUCCA
martedì 15 luglio 2008
il piccolo capolavoro dei NIN
giovedì 10 luglio 2008
DA ISTAMBUL......A VIENNA (SIGH!!!)
lunedì 23 giugno 2008
Re dell'indie rock
Bravi Afterhours, chissà dove potranno arrivare?
sabato 21 giugno 2008
SACRILEGIO!!!!!!
egli porta distruzione semina sconquasso a suon di rock.
e noi anime perse lì.......al suo cospetto.........inermi di fronte alla sua grandezza..........deboli come non mai ci lasciamo sedurre dal male e dalla sua magnificenza.
perchè questo è stato il concerto di Nick Cave di spello, cattiveria allo stato puro........distorsioni a palla una sessione ritmica a due batterie e un esaltazione di suoni di basso.
al di là del post punk ritmi serrati e una rivisitazione dei vecchi classici che ha lasciato poco spazio alle melodie mentre il più corrosivo degli acidi usciva copioso dagli amplificatori.....poi tutto a un tratto ogni cosa cessava.....quello che fino ad ora era un pugno allo stomaco diventava una carezza mordiba quasi di velluto a testimoniare la grande versatilità di un artista e della sua band.
inoltre la sua forma fisica testimonia ancora di più l'avvenuto patto con il signore degli inferi, egli pareva aver non più di vent'anni agile veloce e scattante, totalmente in sintonia con i suoi seguaci che per tutta la seconda parte del concerto hanno deciso la scaletta per lui.
un unico rimpianto.........i soldi buttati via per la ristrutturazione di villa fidelia, aimè dubito che vi sia rimasto qualcosa di intatto dopo il passaggio di una tale furia.
GRANDE........................come pochi!
venerdì 20 giugno 2008
domenica 1 giugno 2008
Un trip lungo 10 anni
Tanto è durata l'attesa per ricevere la terza perla dai Portishead, che hanno confermato se ce ne fosse stato bisogno, di essere unici irripetibili ed eterni.
Sin dalla loro prima uscita nel 1994 si aveva la sensazione di trovarsi di fronte ad una miscela di suoni colori ed atmosfere completamente nuove ed originali, di lì in poi quel fenomeno chiamato trip hop si è allargato a macchia d'olio ed ognuno di noi ha potuto notare quanto sia stato usato negli spot pubblicitari.La classica moda insomma, anche se nessuno può negare che gruppi come Massive attack morcheeba e portishead vivono di luce propria. Personalmente credo che Gibbons e compagni siano di una spanna superiori a tutti,per le atmosfere cupe e paranoiche che sanno creare con quel misto di suoni e buio, ma anche grazie all'alone di mistero che si era creato intorno a loro.(Il loro primo album "Dummy" è stato pubblicizzato con dei manichini, le interviste alla band sono a dir poco rare).
E veniamo al nuovo album "Third", che come ho detto si è fatto aspettare per dieci lunghi anni;credo che ne sia valsa proprio la pena, visto il modo in cui si rimane colpiti fin dal primo ascolto. Si capisce subito che qualcosa è cambiato , il loro suono si è per così dire "estremizzato" mentre la voce di Beth è rimasta profonda, toccante a tratti angosciante.Colpisce la sua capacità di trasmettere la tensione,la paura la solitudine . Sembra come se invece che cantare con la gola o con lo stomaco, lei avesse il dono di far scorrere la voce attraverso tutto il corpo per poi farla uscire con tutta la sua potenza e il suo pathos. Se mi chiedessero un giudizio sintetico:un capolavoro! (Riservato a chi non teme la paranoia)
giovedì 29 maggio 2008
Giunone in t-shirt
Eppure questo film ha qualche cosa di speciale: sarà la colonna sonora che definire di culto è poca cosa; sarà il personaggio di Juno, con le sue battute taglienti, che passa al rullo compressore il perbenismo di maniera della borghesia americana. O forse sarà perchè ci fa rivivere la magia dell'adolescenza e delle sue totalizzanti passioni che ancora rimangono latenti nel nostro cuore.
mercoledì 28 maggio 2008
La guerra tra poverissimi
Scossi dalle violenze xenofobe che hanno causato più di quaranta morti, molti cittadini sudafricani hanno manifestato per le strade di Johannesburg.
Sui cartelli slogan contro il razzismo, ma anche critiche ai vertici istituzionali - primo fra tutti il presidente Mbeki - per non aver saputo prevenire e reprimere le aggressioni agli stranieri. Solo ieri, dopo due settimane di scontri, è stato mobilitato l'esercito.
Le violenze, iniziate a Johannesburg, si sono poi allargate anche attorno a Durban. Nel mirino i molti immigrati provenienti dai paesi vicini, accusati dai locali di impoverire ulteriormente la regione, a sua volta in preda a una grave crisi economica.
Numerose persone sono state arrestate a Città del Capo, dove le prime manifestazioni di protesta si sono rapidamente trasformate in guerriglia urbana.
Secondo fonti della Croce Rossa Internazionale l'ondata di violenza ha causato almeno 25.000 senzatetto. La maggior parte di loro vive suddivisa in 21 tendopoli vicino a Johannesburg.
Secondo il direttore dei servizi di informazione sudafricani, a fomentare le rivolte ci sarebbero personaggi legati agli apparati del vecchio regime dell'apartheid.
Queste le news allucinanti che arrivano in questi giorni dal sud africa, e devo dire che non si sa nemmeno come reagire di fronte alle incredibili immagini di violenza che sono state trasmesse: di certo ci assale una sensazione mista di rabbia e sgomento che rischia di essere mitigata dalla sciocca certezza che “da noi” queste cose non succederanno mai.Anzi in questi anni, nel mio piccolo impegno politico quotidiano (fatto soprattutto nei contesti di socialità come il luogo di lavoro o il bar di paese), ho potuto notare l'accanimento crescente contro i soggetti più deboli da parte della “gente comune”anche di sinistra.In questa logica (illogica?) nemmeno io operaio mi concentro sulla possibilità di invertire i meccanismi che portano ad impoverire i poveri e ad arricchire i ricchi, piuttosto individuo nel “diverso”tutte le cause dei miei problemi e perciò tendo ad escluderlo ed emarginarlo.Potremmo tentare di scaricare la responsabilità di questo degrado sulla drammatica condizione culturale del paese, dove si sceglie il trash in tv piuttosto che un buon libro, si preferisce il qualunquismo all'impegno, si pensa ad arricchirci piuttosto che ad eliminare la povertà.Ma in che misura questi comportamenti sono indotti dai media o da una mancata formazione?Non è possibile invece che la maggioranza delle persone scelga coscientemente di avere un nemico più facile da sconfiggere? Le ultime elezioni in italia sono indicative: vince la lega xenofoba ai danni della sinistra. I poteri forti (confindustria, banche, vaticano, le varie caste) sono difficili da combattere, intanto potremmo levare di mezzo gli immigrati che ci rubano il lavoro (?) e sono la causa della nostra insicurezza.Analogamente i disgraziati sudafricani non sfogano la loro furia su coloro che non redistribuiscono le immense ricchezze di quel paese; è più facile in questa logica di egoismo cosmico bruciare viva quella moltitudine di persone che cercano accoglienza e riscatto. Con tutto ciò vorrei esprimere profonda preoccupazione per il futuro del nostro paese e fare un appello a tutti coloro che ragionano con la propria testa: NON FACCIAMOCI ABBINDOLARE DAI MEDIA DROGATI, IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA SI RISOLVE SOLO PONENDO FINE AI PROBLEMI DELLA GIUSTIZIA
Ryuvez
sabato 24 maggio 2008
La rivincita di Blisset
Il calcio si sa, l'è malado... tuttavia rimane uno dei sport più belli al mondo, almeno finchè la fantasia dell'uomo riesca a produrre qualcosa di meglio del “Curling”.
Il suo cancro è sicuramente il denaro che come un liquido viscoso lo avvolge e lo corrompe fino ad arrivare alle squadre giovanili di periferia dove genitori dal quoziente intellettivo pari a zero pompano i propri figli con sogni di gloria, di fama, di successo, di serate con tre trans di due tiri con Moggi; tutti imbellettati, col fisico, sempre col capello apposto e guai a chi me lo tocca...perfetti per diventare come quell' imbecille di Cristiano Ronaldo, bravo a fare due o tre finte ma una merda di giocatore e di persona .Uno capace di giocare male nelle partite più importanti, quelle dove bisogna tirar fuori le palle , e di sbagliare nel modo più ridicolo ed autoumiliante un rigore nella lotteria della finale di champions league ( poi si sa che da lassù si fa occhiolino agli stronzi e la coppa l'hanno vinta lo stesso).
Ma ci sono milioni di esempi che riabilitano l'ambiente del pallone come l'under18 del Pistrino , modesta squadra di seconda categoria: Suddetta under ha condotto un campionato così e così tra mille difficoltà, ma il gruppo c'è, anche se non è certo un gruppo di campioni. Tra i migliori Sebi, (che a volte ricorda il miglior “tritu”), il sindaco , Cristian (che potrebbe anche farla un'uscita alta),e Maicol (la classica torta senza la ciliegina ). Ma a maggio c'è un altra occasione per dare il massimo e riscattarsi : il torneo di S.Sepolcro .
Girone a tre , perchè una squadra si ritira, e le altre sono tiberis e Madonna del latte . Giochiamo in maniera perfetta contro tutte e due le avversarie , peccato che lo facciamo per soli 20 minuti, quindi il massimo che otteniamo è il secondo posto nel girone, che ci catapulta contro la corazzata Bamboccio Bruni, 9 su undici hanno già giocato in eccellenza. Ma abbiamo il piglio giusto, forse merito di quel matto del marty, (il mister), e poi c'è la rivelazione di fine stagione Luther Blisset, un esempio per tutti in quanto ad attitudine mentale concentrazione ed impegno (mai detta una parola , sempre guardata la palla) che quelli dell' Anghiari li conosce bene e ci può dare qualche dritta. Dopo un assedio durato 80 minuti i toscani non sono riusciti ancora a superare lo stoico Cristian che si frattura addirittura una spalla contro il palo pur di salvare il risultato. Noi non abbiamo ancora tirato in porta e siamo esausti. In tribuna una signora tifosa loro (che poi si rivelerà madre del pur bravo Bartolini) urla in lamarino stretto : “ohhhh staltra volta 'nciarvengooooo!” .. “Enciarvenì !!!” gli rispondo io.. e non ho ancora finito di mandarla in culo quando succede l'impensabile.. Blisset azzarda un anticipo a metà campo, non si sa come la prende ma la prende, e poi mette tutte le sue forze in quello che vorrebbe che fosse l'ultimo rilancio della serata , perchè non ce la fa proprio più. La palla si alza incomprensibilmente fino a superare i riflettori , sono tutti attoniti ma il più attonito di tutti è il portiere avversario che va in confusione e inciampa e non può far altro che osservare la palla che va in fondo al sacco a due all'ora.( Se stava a Subbiano era meglio).
Anche se il finale è un po' così, la prestazione di tutta la squadra resta . Complimenti ragazzi!!!!
PS: Quasi mi scordavo il lillo vera mascotte della squadra e guida spirituale dentro e fuori dal campo .Che ne dici lillo il Marty sarà bravo con i grandi come con i giovani?
Ryuvez,dedicato a Maradona, Che Guevara e Fidel Castro.
venerdì 23 maggio 2008
Straordinari, una misura che conviene di più alle imprese
Fonte: La Repubblica del 22/05/08
di Carlo Clericetti
Se doveva essere il modo di rimediare al problema dei bassi salari, avrà probabilmente un'efficacia paragonabile a quella di un'aspirina per curare il cancro. E' davvero difficile pensare che il provvedimento sulla detassazione degli straordinari possa segnare una svolta dal punto di vista del reddito dei lavoratori.
Intanto, le risorse messe in campo sono decisamente modeste. Il governo ha dichiarato che il pacchetto salari-Ici avrà un costo di 2,6 miliardi. Ora, siccome l'abolizione dell'Ici sulla prima casa costa 2,2 miliardi, per i salari rimangono 400 milioni (il ministro Sacconi ha detto un miliardo, ma "spalmato su due anni"). Si era parlato, infatti, di un costo complessivo di 4 miliardi, che avrebbe comportato una disponibilità quattro volte e mezza più alta, ma, dovendo coprire il costo con tagli di spesa, per non peggiorare la situazione dei conti pubblici, evidentemente non si è riusciti a trovare i fondi sufficienti, e infatti il limite di reddito per fruire della detassazione è stato ridotto all'ultimo momento da 35 a 30.000 euro.
D'altra parte, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti deve essersi reso conto che trovare la copertura togliendo soldi dal cosiddetto “decreto milleproroghe” era una mission impossible: in quel decreto ci sono sì spese di tipo pre-elettorale, ma è robetta. Il grosso è su capitoli praticamente intoccabili, come il finanziamento del protocollo sul welfare, i soldi ai Comuni per le accise sul gasolio, i fondi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Così, la portata del provvedimento si è drasticamente ridotta.
Si sarebbe tentati di osservare che non tutti i mali vengono per nuocere. Sull'efficacia di quella misura per raggiungere gli scopi dichiarati si possono avanzare molte e pesanti riserve. Quelle più generali le ha ricordate Massimo Giannini nel suo commento: il basso limite di reddito esclude una parte importante dei lavoratori; il regime fiscale più favorevole spingerà datori di lavoro e dipendenti a trasferire il più possibile di retribuzione alla parte agevolata del salario, generando un' elusione fiscale a spese della collettività; l'obiettivo di favorire l'aumento della produttività è contraddetto dalla limitazione del beneficio a solo una parte dei dipendenti e a più bassa qualifica. Si può aggiungere che si crea una disparità fra i lavoratori (la contrattazione integrativa riguarda solo il 10% delle aziende; fa gli straordinari solo il 45% dei dipendenti, e più gli uomini che le donne; gli statali sono esclusi); che è una misura cosiddetta “pro-ciclica”, cioè che funziona quamdo l'economia va bene e si sgonfia se è fiacca, perché in questo caso non servono certo gli straordinari; che può favorire la produttività pro-capite, ma non ha alcun effetto sulla produttività oraria, che è il problema dell'Italia; che fa aumentare il rischio degli incidenti sul lavoro; che non favorisce l'aumento dell'occupazione.
Ma allora, se ha tutti questi difetti, perché è stato deciso? E perché la Confindustria l'ha accolto in maniera così entusiastica?
Il fatto è che, dal punto di vista delle imprese, ha invece un pregio importante: non solo aumenta ulteriormente la flessibilità nell'impiego della manodopera, ma, soprattutto, ne riduce il costo. Forse non tutti lo sanno, ma un'ora di straordinario costa molto meno di un'ora di lavoro normale, e rende anche meno al lavoratore. Un interessante conteggio lo ha fatto il sindacalista Aldo Amoretti in un articolo sulla rivista on line Eguaglianza & Libertà. Prendendo ad esempio un “quarto livello” del commercio (addetto alle vendite), la retribuzione netta di un'ora di straordinario è di 5,60 euro, quella di un'ora ordinaria di 9,48; il costo per l'azienda è invece rispettivamente di 11,64 e 16,15 euro. Ciò vuol dire che su ognuna di quelle ore l'azienda risparmia il 28%, mentre il lavoratore prende il 41% in meno. Si può ben capire quale sarebbe il vantaggio per le imprese se si riuscisse ad ampliare il ricorso agli straordinari invece di dover fare nuove assunzioni.
Ma un'ulteriore riduzione del costo del lavoro può risolvere il problema della competitività italiana? Sarebbe davvero difficile sostenerlo. Già oggi il nostro costo del lavoro è agli ultimi posti in Europa (dati Ocse) e, come è ben noto, questo non ci ha aiutato ad essere competitivi. Ma una prova “al contrario” si può avere osservando la Germania, che ha il costo del lavoro forse più alto del mondo (e sindacati fortissimi, e rigidità contrattuali che non hanno nulla da invidiare all'Italia) eppure è anche il primo esportatore del mondo, e oggi è anche tornata ad essere la locomotiva della crescita europea. Il problema, dunque, non è lì. Sarà bene cercarlo meglio.
lunedì 12 maggio 2008
Così l’Occidente produce la fame nel mondo
di Luciano Gallino
Fonte: la Repubblica del 10/05/2008
Sebbene varie cause contingenti – i mutamenti climatici, la speculazione, cinesi e indiani che mangiano più carne, i milioni di ettari destinati non all´alimentazione bensì agli agrocarburanti, ecc. – l´abbiano in qualche misura aggravata, la fame nel mondo di oggi non è affatto un ciclo recessivo del circuito produzione alimentare-mercati-consumo. Si può anzi dire che per oltre due decenni sia stata precisamente la fame a venir prodotta con criteri industriali dalle politiche americane ed europee. L´intervento decisivo, energicamente avviato sin dagli anni 80, è consistito nel distruggere nei Paesi emergenti i sistemi agricoli regionali. Ricchi di biodiversità, partecipi degli ecosistemi locali, facilmente adattabili alle variazioni del clima, i sistemi agricoli regionali avrebbero potuto nutrire meglio, sul posto, un numero molto più elevato di persone. Si sarebbe dovuto svilupparli con interventi mirati ad aumentare la produttività delle coltivazioni locali con una scelta di tecnologie meccaniche ed organiche appropriate alle loro secolari caratteristiche. Invece i sistemi agricoli regionali sono stati cancellati in modo sistematico dalla faccia della terra.
Dall´India all´America Latina, dall´Africa all´Indonesia e alle Filippine, milioni di ettari sono stati trasferiti in pochi anni dalle colture intensive tradizionali, praticate da piccole aziende contadine, a colture estensive gestite dalle grandi corporation delle granaglie. La produttività per ettaro è aumentata di decine di volte, ma in larga misura i suoi benefici sono andati alle megacorporation del settore, le varie Monsanto (oltre un miliardo di dollari di profitti nel 2007), Cargill (idem), General Mills, Archer Daniel Midland, Syngenta, l´unica non americana del gruppo. Da parte loro i contadini, espulsi dai campi, vanno a gonfiare gli sterminati slum urbani del pianeta. Oppure si uccidono perché non riescono più a pagare i debiti in cui sono incorsi nel disperato tentativo di competere sul mercato con i prezzi imposti – alle sementi, ai fertilizzanti, alle macchine – dalle corporation dell´agro-business. Nella sola India, tra il 1995 e il 2006, vi sono stati almeno duecentomila suicidi di piccoli coltivatori.
È noto che il braccio operativo dello smantellamento dei sistemi agricoli regionali sono stati la Banca Mondiale, con i suoi finanziamenti per qualsiasi opera – diga, autostrada, oleodotto, zona economica speciale, ecc. – servisse a tale scopo; il Fondo monetario internazionale, con l´imposizione degli aggiustamenti strutturali dei bilanci pubblici (leggasi privatizzazione forzata di terra, acqua, aziende di servizio) quale condizione di onerosi prestiti; l´Organizzazione mondiale per il commercio. Non ultima, soprattutto per quanto riguarda l´Africa, viene la Commissione Europea, la cui Politica agricola comune ha contribuito a spezzare le reni a milioni di contadini africani facendo in modo, a suon di sussidi e jugulatori contratti bilaterali, che i prodotti della Baviera o del Poitou costino meno, in molte zone dell´Africa, dei prodotti locali. Il tutto con la fervida adesione dei governi nazionali, che preferiscono avere buoni rapporti con le multinazionali che non provvedere al sostentamento delle popolazioni rurali.
Braccio ideologico della stessa operazione sono stati le migliaia di economisti che in parte operano alle dipendenze di tali organizzazioni, in parte costruiscono per uso e legittimazione delle medesime, nelle università e nelle business school, infinite variazioni sul principio del vantaggio comparato. In origine (1817!) tale principio sosteneva una cosa di paterno buon senso: se gli inglesi son più bravi a tessere lane che non a fabbricare porto, e i portoghesi fan meglio il porto che non i tessuti di lana, converrà ad ambedue acquistare dall´altro Paese il prodotto che quello fa meglio. Ma l´onesto agente di cambio David Ricardo sarebbe sbalordito al vedere che esso, reincarnato in complessi modelli econometrici digitalizzati, viene impiegato oggi nel tentativo di dimostrare che al contadino senegalese, o indiano, o filippino, conviene coltivare un´unica specie di vegetale per il mercato mondiale, piuttosto che coltivare le dozzine di specie di granaglie e frutti che soddisferebbero i bisogni della comunità locale.
Una volta sostituito a migliaia di sistemi agricoli regionali in varia misura autosufficienti un megasistema agrario globale che si dava per certo esser capace di autoregolarsi, il resto è seguito per vie naturali. Le grandi società dell´agrindustria accaparrano e dosano i flussi delle principali derrate in modo da tenerne alti i prezzi. Fondi pensione e fondi comuni investono massicciamente in titoli derivati del settore alimentare, praticando e incentivando la speculazione al rialzo. Cosa che non avrebbero motivo di fare se la maggior parte delle aziende agricole del mondo fossero ancora di piccole o medie dimensioni. Da parte loro, illusi dall´idea d´un mercato globale delle derrate autoregolantesi, i governi dei Paesi sviluppati hanno lasciato cadere a livelli drammaticamente bassi la quantità delle scorte strategiche: meno di 10-12 settimane per il grano, in luogo di almeno 24.
Il prezzo del sistema agricolo globale lo pagano i poveri. Compresi quelli che si preoccupano perché anche il prezzo delle tortine di argilla, la terra che mangiano per placare i morsi della fame quando il mais o il riso sono diventati inaccessibili, è aumentato troppo: succede ad Haiti. La crisi alimentare in atto non è infatti dovuta alla scarsità di cibo; esso non è mai stato, nel mondo, altrettanto abbondante. È un problema di accesso al cibo, in altre parole di povertà, di cui il sistema agricolo globale ha immensamente elevato la soglia.
Se un gruppo di tecnici avesse costruito un qualsiasi manufatto meccanico o elettronico tanto rozzo, perverso nei suoi effetti, costoso e vulnerabile quanto il sistema agricolo globale costruito da Usa e Ue negli ultimi vent´anni, verrebbe licenziato su due piedi. I funzionari delle organizzazioni internazionali che l´hanno costruito, gli economisti che hanno fornito i disegni di base, e i politici che ne hanno posto le basi con leggi e trattati, non corrono ovviamente alcun rischio del genere.
Al singolo individuo di questa parte del mondo resta da decidere che fare. Può spegnere la tv, per non doversi sorbire ancora una volta, giusto all´ora di pranzo, il tedioso spettacolo di bimbi scheletrici che frugano nell´immondizia. Oppure può decidere di investire una quota dei suoi risparmi in azioni dell´agrindustria, come consigliano sul web dozzine di società di consulenza finanziaria. Un investimento promettente, assicurano, perché i prezzi degli alimentari continueranno a crescere per lungo tempo. Infine può scrivere al proprio deputato in Parlamento chiedendogli di adoperarsi per far costruire attorno alla penisola, Alpi comprese, un muro alto dodici metri per tener fuori gli affamati. Se qualcuno conosce altre soluzioni che la politica, al momento, sia capace di offrire, per favore lo faccia sapere.
domenica 9 marzo 2008
Dallo champagne in poi (Bastianich docet)
Dallo champagne in poi questo è un elogio del vino bianco.
Del friulano innanzi tutto, che da qualche anno a questa parte ha cambiato il mio approccio con “il bere”.
Fin dalla tenera età di tredici anni, nell’immancabile appuntamento del pranzo dalla nonna, (una tavolata di buonissime forchette) avevo capito di preferire il bianco al rosso, cosa che poi ho invertito nettamente in altri ambiti.
All’epoca era il prosecco, che mio padre, pioniere della bevuta, andava e va ancora a prendere in Valdobbiadene, con l’amico Emilio ed altri fantomatici personaggi,in clamorosi viaggi della speranza…di tornare.
Poi nei dieci anni successivi ho sperimentato la quantità; ettolitri ed ettolitri di bevande unite a sostanze di ogni genere, nelle avventure con gli amici,nelle avventure con le amiche, ma anche nelle avventure da solo.
Infine eravamo esausti e quell’ ingordigia ha lasciato il posto ad una nuova sensazione, un nuovo piacere… quello che può darti una bottiglia speciale, aperta a tarda serata in enoteca, parlando con amici e fidanzate di ogni sorta di argomenti.
Il passo successivo ti porta alla sperimentazione in cucina, tentare di realizzare un ottimo piatto, tradizionale o ”nouvelle” che sia, con l’unico scopo di poterci abbinare una buona bottiglia.
Ora nel periodo in questione bevevo molto rosso e non è che anche adesso non mi piaccia, ma a poco a poco ho capito che nella mia tavola il vino bianco avrebbe certamente avuto la meglio. Questa egemonia credo abbia origine in un rifugio d’alta montagna, il rifugio Bajon, gestito dal compagno Dino, incredibile personaggio, a metà tra Messner e Bertinotti, che ci ha iniziato ai bianchi friulani:da lì raggiungere la cantina di riferimento è stato un attimo (Az.Ag.”Grappolo D’oro”), ma ancora il bello doveva arrivare, visto che dopo abbiamo conosciuto Corrado del “Localino”, tifoso anche lui dei bianchi friulani, tifoso del vino in generale, simpatizzante della juventus. Grazie a lui abbiamo potuto scoprire cantine come “Ronchi di cialla”, “Gravner”, “Bastianich”, solo per citarne alcune, che producono dei bianchi straordinari, complessi, forti.
Poi sono venute le bollicine. E mi fanno litigare con i miei compagni di bevute. Perché gonfiano, sono très chic, danno una sensazione quasi anfetaminica. Ma io non ci resisto davanti ad un metodo classico di “Marramiero”(Ottenuto con uve trebbiano in Abruzzo) e non resisto neanche di fronte allo champagne, che per tanto tempo ho snobbato ingiustamente. Non mi convinsi a provare gli effetti delle bolle galliche neanche dopo aver letto “I fratelli Karamazof”, anche se mi tentò molto, ma poi, sempre da Corrado abbiamo rimediato anche a questa mia lacuna, ed ho potuto assaggiare alcune riserve eccezionali, e se devo dire quella “botta” un po’ adrenalinica e afrodisiaca a me è piaciuta, quanto quel suo gusto certamente unico.L’unica cosa che non mi è piaciuta è il prezzo, anche se l’estate scorsa andando in camper a Parigi ho potuto fermarmi nella regione dello champagne e scovare piccole cantine dove il consumo di questa bevanda è più accessibile.
Mi fermerò tra poco altrimenti mi ubriaco, ma non prima di invitarvi tutti nel mondo del bianco e delle bolle per queste e centro altre sensazioni, magari leggendo l’ultima chicca di Andre “Rui” Scanzi, “Elogio dell’invecchiamento”.